Felice Florio

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Felice Florio, Bari 1993 dice il mio passaporto. Sempre il passaporto mi ricorda quanto adori viaggiare: dalla Cina dei dragoni al Messico azteco, dall’Oman e i suoi cammelli al Perù custode della misteriosa Machu Picchu. Non da turista, invece, ho vissuto quaranta giorni tra i cliff irlandesi, un mese lungo l’oceano che sbatte sulla costa di Aveiro e una dozzina di giorni all’anno scappo a Istanbul o Tekirdag, Turchia. Dunque ho tre famiglie adottive sparse per il mondo e la quarta, la più cara, nell’amata Puglia. Ho anche una seconda casa ad Almeria, lembo di terra iberica proteso verso il Marocco. Lì ho vissuto sette mesi indimenticabili, un Erasmus e di ritorno il 110 e lode in Lettere, all’Università degli Studi di Bari. A tredici anni, per gioco, ho pubblicato una silloge poetica. A diciotto, per passione, un romanzo di formazione. A ventidue, per lavoro, un saggio sulla letteratura araba di guerra. Intanto un romanzo sul narcotraffico pugliese giace nel cassetto e l’editoriale per la Gazzetta del Mezzogiorno sulle proteste di Piazza Taksim del 2013 incorniciato e affisso alla parete. Ho scritto parecchi articoli dimenticati e tante lettere d’amore bruciate nei caminetti. Per il Magazine del Padiglione Italia a Expo2015 ho raccontato la storia delle orecchiette. Parlo così tante lingue che ne ho dimenticata qualcuna con il tempo, ho presentato un programma in radio e ho viaggiato molto. Ma i viaggi non sono mai abbastanza.